Maurizio Pansini. La spiaggia
La
spiaggia
La spiaggia a quest’ora sembra
ricongiungersi con il rumore della risacca. Svanite nel vento le grida dei
bambini, si riposa e respira lentamente. Sospira paziente come una vecchia
nonnina che ha messo a dormire una masnada di nipotini scatenati.
Sotto la luce generosa di una
splendida e quasi irreale luna piena, stavo cercando il tubo della
maschera subacquea che mio figlio, puntualmente, non aveva riposto nella sacca
dopo il bagno.
La lanciava, infatti, sempre più
o meno in direzione dell’ombrellone, per schizzare via in fretta
verso un nuovo gioco.
Naturalmente neanche la sorella
aveva badato a recuperarla, tutta presa com’era a coprire il suo
corpo acerbo da ogni raggio di sole che questa estate, vai a capire perché, sembrava
essere il suo principale impegno cui provvedeva con puntigliosa e
maniacale cura, restando immobile sotto l’ombrellone.
La lunga e sensuale curva della
spiaggia, bellissima alla luce della luna, terminava con un piccolo
molo di legno che nessuno utilizzava più.
Noi sistemavamo il nostro
ombrellone esattamente a un metro dal pontile, con quella abitudinaria
precisione che ogni estate si ripeteva. Anna, mia moglie, si stendeva
spesso sul molo per tentare di scurire la sua carnagione meravigliosamente
restia all’abbronzatura. Il pontile le permetteva di non
toccare la sabbia con il corpo bagnato.
Raggiunto ormai la fine della
spiaggia con lo sguardo basso sforzando la vista per scorgere il tubo, che,
tanto per complicare la ricerca, era proprio quello trasparente con una sola
striscia arancione su in cima, non distinsi subito il sospiro confondendolo
con quello della risacca.
Quando alzai lo sguardo, i suoi
occhioni mi fissavano tranquilli a meno di mezzo metro.
Sorrisi.
Più per tranquillizzare la mia
sorpresa, che per rassicurare la ragazza che sedeva con le ginocchia
strette tra le braccia e il mento poggiato su di esse.
Il sottile abito sfavillava alla
luce.
Ondeggiava con la brezza, quasi
in sintonia col vai e vieni delle onde.
Distolto lo sguardo da me osservò
l’orizzonte dipinto da una lunga striscia luminosa che la luna piena
pennellava sul mare. Il panorama si trasformava in una
scena teatrale anche un po’ scontata. Mi risultò naturale sedermi
anch’io, tanto quello spettacolo sembrava
pretendere spettatori.
E poi…
Il silenzio dei nostri pensieri
fece largo al regolare respiro del bagnasciuga.
Quanto tempo durò tutto questo
non so dirlo.
So solo che sussultai, quasi
risvegliandomi, quando esclamò, con tono da vecchia
amica in via di
confidenze fatte per la prima volta:
-Lo vedi anche tu il fondo delle
cose? Quello che appare quando si spezzano e giacciono dimenticate?
Solo allora torna alla luce, con un alone splendente, tutta la verità
nascosta-
-Sì ed è raggelante ed eterna
(risposi senza riflettere) e si fa fatica a reggerla da soli-
-Quante illusioni ci facciamo a
volte (disse con voce serena) quando ci sembra per un tratto di trovare qualcuno
che per un attimo condivida con noi la sostanza oltre lo sguardo-
E nel dire questo indicò con
gesto teatrale tutto il panorama.
Quasi fosse lì solo per porre
l’accento sulle nostre parole.
Dopo mi fissò a lungo.
Leggera mi sfiorò le labbra con
le lunghe dita affusolate.
Mi sentii allora pronunciare
questa frase:
-Il bacio, forse, cerca un
suggello duraturo, sprofondando invece nell’effimero assoluto, giustificando il caos-
Il suo viso già toccava il mio
con un bacio che illuminò la scena e la rese eterna nel suo svanire dopo un attimo. Lei, infatti, si alzò
velocemente e corse via quasi spinta dalla brezza.
Il mattino dopo stentai a
svegliarmi.
Non appena giunsi sulla spiaggia
mia moglie sotto l’ombrellone, spalmava i
due figli di ogni crema
possibile.
Non fui stupito quando mi accolse
dicendo che avevano ritrovato una ragazza annegata sulla spiaggia,
che stringeva nel pugno il nostro tubo della maschera.
Maurizio
Pansini
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