Il Palazzo delle lacrime di Paolo Grugni

“Il Palazzo delle lacrime”, di Paolo Grugni, Laurana Editore (Milano, 2019), pag. 290, euro 16.90.

Recensione di Nunzio Festa

Il confine. La barriera invalicabile. E' sul filo della divisione resa reale dall'oggetto di separazione più inquietante che esista, il muro, dove il romanzo di Paolo Grugni “Il Palazzo delle lacrime” evoca il messaggio della desolazione sentimentale di chi si sente costretto in un sicuro limbo, con tanto di frammentazione famigliare pure, e, allo stesso tempo, testimonia il sacrificio vitale di migliaia e migliaia di persone destinate a versare lagrime grazie alla benevolenza dei rappresentanti del potere apparentemente inventato per dar loro felicità assoluta.
Non siamo in Cina. Non ci troviamo nelle nuove frontiere dell'Europa di mezzo. Non leggiamo di Ceuta e Melilla, né di Messico/Usa e così via. Perché questa storia o pezzo di Storia ripreso dalla maestria di narratore di Grugni, del quale fra gli altri invitiamo a leggere il precedente “Pura razza bastarda” (edito anche questo da Laurana), è ambientato a Berlino Est degli anni 1976/1977.
L'escamotage è di quelli più classici. Il maggiore della Stasi, Martin Krause, figlio tra l'altro di fuoriusciti italiani nel secondo dopoguerra, è chiamato a indagare, come suol dire, sull'omicidio d'una giovine; il fatto, all'apparenza di semplice analisi e dunque risoluzione, si tramuterà in un caso di, prima di tutto, spionaggio internazionale. Come, ancora, di traffici: tra droga e prostituzione. Più, ciliegia gigante sulla torta al veleno, la corruzione delle alte sfere portatrici fisiche di quel sogno di miglioramento sociale della società finto nei regimi comunisti.
Al centro della trama, un diario. Al centro del racconto, quel dissidio interiore d'una persona, un professionista e in un certo senso idealista, insomma i tormenti di Krause che viene allontanato ma che al contempo deve lui stesso far i conti con quel muro di divisione fra Berlino Est e Berlino Ovest. Fra tedeschi dell'Occidente e tedeschi lasciati nella Germania Orientale anche quando vorrebbero, a torto o ragione, passare dall'altra parte della “cortina”.
Grugni, per l'ennesima volta, dimostra di trovarsi perfettamente a proprio agio quando decide di tramutare in opera letteraria documenti storici e memoria documentate quanto verificate, fatti importanti della storia novecentesca legata alla nostra quotidianità.       

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