Giornale dell'assenza. Quando morì mio padre.









Mio padre è morto il 5 marzo 2024 e io rileggo i suoi messaggi WhatsApp quasi ogni giorno. 

Gli scrivevo molto. Ci scrivevamo molto. Mi pareva di "venire meglio" .
Di persona a volte era difficile 


uno


Niente come la morte di un genitore ci rende consapevoli della nostra mortalità e del destino di ogni cosa, esserci per un breve o lungo lasso di tempo e poi cessare.


 Per questo scrivo il giornale dell'assenza.

I riti sono nati per aiutare a elaborare, condividere il dolore, sperare in una forma di permanenza ma un rito collettivo non c’è stato. Nessun funerale, nessuna cerimonia. Avrebbero aiutato, io li avrei voluti, ma avevi scritto di tuo pugno che non volevi nessuna funzione ed è stata rispettata la tua volontà. Ha deciso tutto Filippo insieme a  Sandra, tua moglie. Che peccato. Erano le persone più vicine, spettava a loro, tutto giusto, non volevo essere io a decidere, volevo solo esserci (sono arrivata il giorno dopo perché avevo tanto male al ginocchio) e che qualcuno mi prendesse per mano dicendomi non preoccuparti, non è vero è una simulazione, osserva e basta.

Quando è stato il tuo compleanno, il 27 novembre, ho inviato un bellissimo mazzo di fiori all’indirizzo dello studio legale e Filippo lo ha messo nella tua stanza davanti alla sedia vuota, io poi ho condiviso la foto su Facebook, in quell'occasione eravamo in sintonia con Filippo, ma una riunione di amici e conoscenti e di tutte le persone che ti hanno voluto bene proprio non la vuole fare.
A me piacerebbe, lo immagino un modo per seguire le tracce. Perché non si può svanire così, babbo, morire, sparire e dopo è tutto finito. Non si può vero, me lo assicuri?


Volevo scavare nei ricordi degli altri, smontare i miei e poi ricostruirli, prendere pezzettini qui e là e aggiungerli alle immagini che mi porto dentro,  ma per organizzare questo due fratelli devono essere d’accordo, lui non ci tiene e io non insisto. Non litigo più con lui, a volte è molto dolce, è buono, come dicevi tu. A volte vorrei litigare come un tempo perché quel sarcasmo che gli esce senza che uno se lo aspetti, un po’ supponente è insopportabile. Ma rimarremo io e lui. Voglio un legame saldissimo, è uno dei miei scopi principali e farò di tutto perché accada. E poi è una brava persona, non è poco. Delicato, di solito, con qualche timidezza.

Certamente non passerei più il pranzo insieme a te  a litigare con lui, noi tre nel tavolo del ristorante di via Goito accanto all’ufficio, con te che eri diventato proprio sordo e ti isolavi e ogni  tanto mi sgridavi, mi dicevi di non trattarlo male. Forse prevedevo già tutto il dolore che poi è arrivato quindi ero aggressiva e seccata, ma per te ero comunque sempre  la colpevole. Adesso non mi fa più dispiacere questa cosa anche se me lo ha fatto per un lungo, lunghissimo tempo infinito. Posso ricordare tutte le ferite, il senso di inadeguatezza, la violenza verbale e non provare quella fitta dolorosa che sentivo, senza percepire l’ingiustizia del tuo modo di trattarmi, così tossico, così malsano. 

Stava a me andare oltre e così è stato.


 Non litigherei più con Filippo a quel pranzo se tornassi indietro anche perché è stata l’ultima volta che ti ho visto. (nei sogni no, torni sempre) Lì,  in quel ristorante dalle luci basse, molto turistico ma comodo dove andavamo ultimamente. La settimana prima però ti avevo regalato un pullover e ti era piaciuto moltissimo. Lo avevi messo subito, ti stava bene ed eri anche un po’ fiero guardandoti nello specchio  Questo mi consola un pochino.


Un pullover. Per consolarmi. Il valore delle cose muta a seconda delle circostanze, quindi tutto va rispettato, anche questo non lo sapevo, ci sono voluti tanti anni per capirlo.

Quante cose potevano esserci in più? Quanti discorsi, gentilezze, discussioni, sorrisi? Ci sono stati. Questo sì.

Forse sono stati abbastanza. Non mi sono resa conto dell’abbondanza che avevo ricevuto ma soprattutto non avevo ancora capito che non era per sempre.

Ti pensavo immortale, certo.




Una immagine ogni tanto emerge, siamo io, te e la mamma, la città è senz’altro Bologna. Sono serena, prima. Sono sempre serena quando siamo noi tre.  Passiamo davanti a una banca e tu cominci a scherzare con me canticchiando  ban-ca-po-po-la-re- di- Bologna-e- Ferrara, ba-ca-popolare DI Bologna e Ferrara e ti abbassi camminando a larghe falcate ripetendo il nome della banca e ridendo, e in un momento magico rido anch’io e provo a cantare e a seguirti e ride anche la mamma.


Sono diventata fragilissima da quando non ci sei più, ogni cosa mi spaventa, ogni piccolo sintomo diventa una possibile minaccia. Ho avuto diversi problemi di salute, anche seri  negli ultimi due anni, fra cui l? osteoartrosi del ginocchio che avevi anche tu.

Un giorno, per telefono, mi consigliasti Cetilar Crema per articolazioni, muscoli e tendini.

-Questa fa bene, provala, poi mi dirai mi raccomando.

L’ho comprata allora e quando finisce mi ricordo quasi sempre di ricomprarla, la uso, non fa miracoli ma un po’ di sollievo lo dà ma la uso solo perché me l’hai consigliata tu. Sono diventata feticista di queste cose che erano tuoi regali, tuoi suggerimenti. 


Alle Terme subito dopo la tua morte.

Avevo bisogno dell’acqua, della piscina calda, di perdermi nuotando e di osservare le rifrazioni della luce sull’acqua, immaginando presagi o segni che erano solo nella mia testa. Nella stanza un po’ barocca dell’albergo guardavo la pomata che tenevo nel cassetto e mi dicevo ecco, sei qui babbo, alla fine sei diventato questo, un tubetto di crema, eccoti, vieni con me dappertutto e poi ti spalmo sul ginocchio che faceva male anche a te e negli ultimi anni si era acuito molto. Chissà se sei qui intorno oppure non sei niente e in questo mio ricordare nessuna parte di te veramente rivive. So che è retorico, persino banale.


Creiamo ipotetici paradisi perché abbiamo perduto e perderemo sempre tanti tempi del presente, momenti da vivere fino in fondo, tanti “adesso” che ci sono sfuggiti di mano perché pensavamo di avere un numero infinito di possibilità e invece non è vero.



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