RENDEZ -VOUS di Christine Angot, un’epica del dolore /VINTAGE BOOKS




Guanda 2008 
 Conoscevo già questa autrice, ho letto ( e anche tradotto) sue opere teatrali e diversi romanzi. Ma questo! In questo, nelle sofferte pagine di questo Rendez-Vous  ho trovato tante delle mie cicatrici, colpi d'arma da fuoco, bruciature, tagli, percorsi di scrittura che strozza per finezza e precisione, un’epica del dolore che ha pochi pari nella letteratura recente. Una coraggiosa, potente, audace capacità di vivisezionare il sentimento, farne materia prima conoscitiva, farne cattedrale con madonne che lacrimano sangue, epica, appunto  di un certo tipo di sofferenza, peccaminosa, ostinata, piegata, calda, poi fredda, poi folle, poi verissima, narrata con la maestria di una  Christine Angot nel suo massimo. Splendore, vorrei dire, ma riesce difficile, visto il tema. Eppure splende questa donna, questa scrittrice, questa amante. Lo so, io la vedo, nelle pagine l’ho vista splendere( e piangere e desiderare e ricordare e affidare la sua carne e il suo amore alla scrittura, l’ho vista) Christine, la protagonista di questo romanzo, vive un amore. Un profondissimo amore non corrisposto o, quantomeno, non corrisposto quanto lei vorrebbe: quanto lei, la protagonista- io narrante,  ama, quanto lei lo vuole, lui non ama. Lui si tira indietro. Christine, è sola nella storia. Spinge, preme, accelera, affretta. Vuole che accadano cose, Non rispetta i tempi che andrebbero rispettati, cerca, chiama, pretende. Di solito non va bene. Di solito ci sono quelle strategie che si imparano alle scuole medie. Di solito ci si fa aspettare. Ci si nega. A lei non importa. Lei vuole lui.  Lui la ammira ma non la ama. Lei lo ascolta dirlo. Ne assorbe il profondo disagio, ma il disagio è controbilanciato dalla sensazione di unicità che prova, da  questo sentimento ( non vede altro, è chiusa a tutto il resto, per tutto il resto esiste a metà) C’è solo lui, questo attore. Non vede niente. Freme. Lo chiama, lo richiama. Vuole appuntamenti. Vuole certezze. Lui invece spesso è infastidito. Allontana, dilata, dilaziona, sfugge. C’è un maldestro gioco del gatto col topo. Christine lo gioca quando può, poi crolla e racconta il crollo. Non ci risparmia gli aspetti meno esaltanti del crollo. Pochi si sarebbero messi così a nudo, con tale implacabile e chirurgica verità. Sulla carta, ma anche in una telefonata ad un’amica. Questo coraggio esalta la Angot scrittrice e rende unico il suo romanzo, una celebrazione del dolore, come ho già scritto e dei sentimenti umani: di questi sentimenti   ne è un canto supremo ed estremamente contemporaneo, fra le sofisticazioni della scrittura, i brandelli di delirio, di sbilanciamento, di devastazione che questa posizione provoca. Paranoia, si potrebbe dire, tutta di testa, per niente reale. Non è vero. 
Quel che dicevo non era abbastanza chiaro. Lui cominciava a stancarsi, se ne sarebbe andato con la scusa della stanchezza, in quel momento non aveva l’energia di fare discorsi complicati con me. Cominciava a fare la faccia delusa di chi non sa farsi capire, prostrato ma rassegnato perché tanto era sempre cos’. Non c’erano molte persone che lo capissero. Soprattutto il suo viso impenetrabile. A me non piaceva…Momento sbagliato, frase sbagliata, giudizio sbagliato sulla situazione, mancanza di tempismo, Non ero fatta per scoprire il mio gioco, non ero uno stratega, non ero una seduttrice, non ci riuscivo. O non dicevo niente o ero troppo diretta 
Difficile essere così impietosi e nello stesso tempo così veri. Io mi sono sentita come lei, ( a volte, a tratti ancora, riemergono cose), mi sono sentita così, dicevo, e non ho potuto non amare questo libro all'istante. Quante volte ho condiviso questa "solitudine nella storia?" Non spesso, forse una volta o due, o forse le altre volte le ho lasciate affondare nell’oblio, ma ragionare pagina dopo pagina su questa solitudine, sul possibile rotolamento fuori dalla realtà, lasciando che la scrittura come una lama affondi nelle pieghe di un amore più immaginato che reale, questo non l’ho fatto se non in rari messaggi privati. Non ho, forse, avuto quel coraggio che lei ha,  la sola idea mi fa tremare, e mi disturba persino, mi getta in uno strano stato di empatia- inquieta. E va bene così. Un vero grande libro deve disturbare , deve lasciare che si faccia strada quella possibilità remota e angosciante, quella che strozza, che produce una claustrofobia incontenibile. Disturba la sua pervicacia a continuare con Eric nonostante abbia altri uomini disposti a tanto, a molto, con lei. Indulgenti, porci, innamorati, allegri, altri, tutti vicini, ma non li vuole, lei ha intravisto un tutto che la porta fuori strada, che lentamente e senza possibilità di riscatto l’allontana dalla realtà. E’ ingiusto quello che succede a Christine, Eric dovrebbe amarla. Invece lui dice che il loro è un rapporto, ma non un rapporto amoroso.Non è vero. La cecità è dalla sua parte. Eric non riesce a vedere l’amore nei canali di scolo, nei dettagli, nelle parole, nelle sfumature. E’ un problema di lui, ma pare che sia di lei. La retorica, l'usuale dialettica amorosa vuole così. In questo senso è anche un libro sovversivo, come spesso lo sono quelli di Angot.E' c'è il resto, non schivabile, la profonda ansia, e il dolore del romanzo.
 Accusavo il colpo, non rispondevo subito. Mi è già successo, non per così tanto tempo, ma mi è già successo, in tal caso strappo. Se il rapporto è falso succede Mi capita di ingannarmi nello scrivere, di capire dopo che era falso, quando capita strappo, forse sono stata io a sbagliare, sono io che mi sbaglio, che continuo a sbagliarmi, in tal caso il libro è falso e presto me ne renderò conto. Se non è un rapporto amoroso strapperò. Oppure sei tu che ti sbagli. In ogni caso uno dei due. Questo è certo.  
Perché a complicare( o a salvare) c’è la scrittura, e sulla scrittura la protagonista pretende assoluta autenticità. Il suo corpo,  a tratti ferito, annichilito dal rifiuto, o dallo sfuggire, o dal non capire di Eric, si fa scrittura, si piega e si rannicchia nella scrittura, lasciando che, insieme alla costruzione di questo amore escano stratificazioni antiche di dolori, relazioni e fraintendimenti di vario tipo. E’ come se si togliesse la pelle, strato dopo strato, Christine si spela , si sfodera davanti al lettore, vomita la polpa per cercarla altrove, si sbudella, stimolata da questo sentimento,  pensando a lui e ancora a lui e sempre a lui, e allora io lettore penso alla miopia orrenda del giovane che non capisce, che non raccoglie il dono, che tira fuori le sue ansie, le sue difficoltà le sue fragilità in un gioco cacofonico di IO IO IO, che suona come stonato, disturbante( mentre dovrebbe essere equilibrato, reale) Ciò che suona come giusto, profondo, autentico, è l’amore di Christine. Anche se è sola. Anche se, forse, ha frainteso o esagerato. Si è messa nuda e ha dato corpo a questa unicità. Ha scelto di gridare, scrivendo di questo amore.Univoco.
 Scrivere era causa di stress perché raddoppiava la carica emotiva. Non lasciavo che le cose mi passassero per la mente. La scrittura fissava e precisava. Le cose non passavano per la mente. Mi stancavo. Certi scrittori erano veggenti, io ero inchiodata agli istanti  
Com’è vero Christine. Tutto. Com’è vero, nella sua tragicità, com’è dentro gli istanti quello che la scrittura coglie e certi uomini non vedono, non vogliono, fuggono. Com’è vero, e triste, e anche magistrale la Angot nel suo coraggio di rendersi romanzo, scrittura, righe che sanguinano, patetismo che non si maschera, cicatrice, narratrice, madre, donna, vera, raggomitolata, capace di uccidere convenzioni, di mostrare mistificazioni che vengono ridotte a brandelli senza aspettare il tempo giusto, nemmeno il ritmo, perché non darlo, a volte il ritmo, imporlo, segnarlo, disegnarlo. Perché no.Un romanzo davvero magistrale che ho sentito nel sangue e nella pelle e non potrò mai dimenticare.








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