ASSENZE di MICHELA DE MATTIO


ASSENZE di MICHELA DE MATTIO
Foto di Camilla Coppola

ASSENZE


Era il 1979 e Claudia aveva da poco compiuto diciassette anni. Sedeva fuori dall’autostazione di Trieste. Ai suoi piedi un bicchiere di carta con un paio di monete. Faceva freddo, la Bora soffiava forte. Non era certo quello che si era immaginata, ma era comunque meglio di tutto il resto. L' ultima volta che aveva telefonato a sua madre, due mesi prima, aveva risposto il suo patrigno. Piagnucolando l'aveva supplicata di tornare a casa, a Gorizia. Tutto le era di colpo ricascato addosso, la sua puzza di sudore e di vecchio, le sue mani pelose e le dita callose. Claudia aveva riattaccato.

Goran, il suo ragazzo, viveva anche lui alla stazione. Era serbo, orfano, aveva vent’anni e si prendeva cura di lei. Bevevano molto, roba forte. Roba che scaldava la carne, il sangue e faceva dimenticare i guai.
 Quando l'uomo le si avvicinò Claudia pensò che fosse un cliente. Peccato che lei non era una prostituta. Le avevano già chiesto altre volte quanto volesse. A uno aveva sputato in faccia.
Il vecchio le disse di andare a casa sua. Aveva un appartamento grande e caldo nel centro storico di Trieste. Non voleva fare sesso. Non voleva restare solo a Natale, tutto qui. Mancavano pochi giorni, ormai.
L’uomo aveva un aspetto normale. Sui sessantacinque anni, indossava un cappotto pesante e scarpe lucide.
Claudia, per prima cosa, osservava le scarpe della gente.
«Solo se può venire anche il mio ragazzo», gli disse
«Ma certo», rispose l'uomo. «Per me è anche meglio», precisò.
Più tardi nell'appartamento del vecchio Claudia e Goran bevvero un caffè e mangiarono una fetta di sacher in cucina. Dopo l’uomo le chiese se voleva farsi un bagno. Claudia tentennò. Ma aveva freddo e c’era Goran con lei, non le sarebbe potuto accadere nulla di male. Così pensò.

La porta del bagno era senza chiave.
Claudia si immerse nella vasca. Si rilassò. Godette dell’acqua bollente e del profumo dell'olio essenziale alla lavanda. Non si accorse subito della sua presenza. Il vecchio si era richiuso la porta alle spalle e con la schiena appoggiata al muro si era abbassato i pantaloni prima di prendere a masturbarsi.
«Non c'è niente di male in fondo», le disse con un sorriso incerto.
Claudia urlò.
Goran spalancò con furia la porta del bagno. La maniglia colpì l'uomo sui reni facendogli perdere l'equilibrio. Il vecchio cadde sul bordo della vasca finendo nell'acqua con Claudia. La testa sul suo ventre. Lei prese a sgambettare per uscire. Con un ginocchio lo colpì in modo maldestro sul naso. Il sangue copioso tinse l'acqua di rosso.
Goran lo afferrò per i capelli e lo spinse sott'acqua. Claudia senza smettere mai di gridare, nuda, in piedi nella vasca, aiutò Goran premendo una mano sulla nuca dell’uomo. Fu una cosa lunga. A un certo punto il vecchio smise di muoversi.
Restarono in silenzio.
Seduti al tavolo della cucina cercarono di riflettere. Claudia si era avvolta in un asciugamano. Fumarono, incerti sul da farsi.
«Devi tornare in bagno. Ci sono i miei vestiti, il mio portafoglio e anche la mia carta d'identità», disse lei.
Goran andò a recuperare le cose di Claudia. Il cadavere dell'uomo era scivolato sul pavimento e ostruiva il passaggio.
Poi passò al setaccio l'appartamento. Trovò venti milioni di lire in una busta, dentro un cassetto dello scrittoio. Sulla busta stava scritto: per zia Elsa.
Dopo aver fatto sparire le impronte digitali se ne andarono. Ma furono troppo lenti. La vicina di casa, una signora anziana con gli occhiali spessi, li vide dalla finestra nel cortile dello stabile.
Si diressero verso l’autostazione a piedi. Si fermarono a bere un caffè in un bar in Piazza dell’Unità d'Italia.
Si sedettero a un tavolino. Non se lo erano mai potuti permettere prima.
Claudia guardò Goran. «È stato orribile.»
Lui scosse la testa. «Che maledetto porco!»
«Io ti amo.»
«Davvero?»
«Tu non mi ami?»
Goran si passò una mano sul volto. «Tu non hai fatto niente vero?»
A Claudia si riempirono gli occhi di lacrime. «No», rispose secca.
Goran si alzò e andò ad abbracciarla. «Scusami, ho avuto paura.» Sospirò. «La vedo brutta.»
 La settimana seguente un poliziotto li identificò in base alla descrizione della vicina. Claudia e Goran furono interrogati. La vecchia signora con gli occhiali spessi non era sicura. Le analisi di laboratorio fatte sui loro vestiti non diedero risultati univoci. Il vecchio, che era un noto frequentatore di prostitute, aveva due precedenti penali per violenza sessuale e rapporti con minori.
Claudia e Goran furono rilasciati e il caso restò irrisolto.
 Con i soldi del morto la coppia affittò un appartamento. Smisero entrambi di bere. Goran trovò lavoro come imbianchino e Claudia come cassiera in un grande supermercato. Si sposarono e quando lei rimase incinta si trasferirono in una casetta vista mare in Strada del Friuli. Due anni dopo la nascita di Adele arrivò Riccardo.
Se la cavavano bene. Erano felici.
Quando morì sua madre Claudia ebbe una ricaduta. Riprese a bere e a fumare marijuana. Un giorno Goran rincasò e trovò i bambini da soli. Adele aveva otto anni e si occupava di suo fratello.
Goran li caricò in macchina e raggiunse l’autostazione. Trovò Claudia seduta sul solito muretto. Disse ai bambini di rimanere in macchina e le si avvicinò. Rimasero uno accanto all’altro per un’ora. Claudia gli mise la testa in grembo e lui le accarezzò i capelli in silenzio. Claudia non aveva più bisogno di quella roba. Erano felici, avevano amici e i bambini erano bravi a scuola.
Anni dopo, con il progredire delle scoperte scientifiche, i mozziconi di sigaretta trovati nel posacenere a casa dell’uomo assassinato furono sottoposti alle indagini di genetica molecolare. Tutti gli indiziati dell’epoca furono chiamati a sottoporsi all’esame del Dna.
A casa di Claudia e Goran arrivò una lettera verde e sottile. Si recarono in Questura. Infilarono in bocca a entrambi un bastoncino con la punta di ovatta.
Una settimana dopo furono arrestati.
Confessarono tutto in assenza di un avvocato. Credettero che non ci fosse più nulla da fare. Goran telefonò al mio studio troppo tardi. Se avessero taciuto, il giudice non avrebbe potuto escludere in modo categorico l’incidente.
Quaranta giorni dopo, all’udienza preliminare, furono rilasciati. Il GUP disse che il caso era fuori dal comune. Gli imputati si erano integrati nella società, avevano un lavoro e due figli. Erano fortemente indiziati, la condanna era quasi certa, ma non riteneva che ci fosse pericolo di fuga.

Nessuno seppe mai dove recuperarono la pistola.
Un uomo anziano li trovò una mattina, all’alba, in Piazza Unità. Mancavano pochi giorni a Natale. Stavano distesi, uno accanto all’altro di fronte al bar in cui avevano bevuto il caffè molti anni prima. Lui le aveva sparato al cuore, poi si era puntato la pistola alla tempia. Erano morti entrambi sul colpo.
Non avevano voluto farlo nella loro casa. Goran, due mesi prima, aveva imbiancato tutte le stanze.


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