L'attesa (e l'oro delle parole). Di Anna Alemanno

L’attesa (e l’oro delle parole)

Ma la rosa, spingendo le pareti frantuma il sole, e la luce ricompone a sè.
Avida di bianchi e rossi sceglie le primavere e qui riscrive l’alfabeto con la punta delle spine.
Compone crisalidi di pianti e srotola come fossero panni giovani pene d’amore.
Da questa terra dalla pelle cicladica sguscia il tuo nome. É un punto azzurro nell’orbita delle comete. I giorni si chiudono lenti. Rimane l’oro delle parole, l’assenzio con la luna bianca, una palpebra di sale, erba selvatica e menta. L’aria spinge, preme, è forte, arriva senza di te, arriva con te, è calda, è fredda, è dolce, e io trafitta con lance bruciate dal sole, aspetto.
Ti ho fatto un dono. E mai nessuno tranne te vedrà la mia bocca verde di rame, amara di suoni e di tempo.

L’attesa è la mia anfora d’oro cullata dal vento. Siamo destinati a noi stessi, dici, anche se le parole si sfaldano come fibre di un abito antico. Dobbiamo cercarne di nuove, di parole, (dico) e allora ci affanniamo sui confini dei corpi disegnando con la lingua, piano, il segreto di noi. Come se l’amore fosse di un blu bellissimo e sconcertante che mai ha conosciuto neve, nè pioggia, nè nuvole di madreperla. Un Ade celeste, un guscio di cristallo dimenticato dagli dei, un frutto dolcissimo di miele e petali di rosa, un gioiello di filigrana con testa di leone e coda di serpente, un fermaglio d’oro tra i capelli, le tue labbra, i piedi sulla sabbia, il sole rosso che scivola oltre la terra.
La Pizia, posseduta da Apollo, prestava la sua bocca ai responsi attribuiti alla divinità stessa. Masticando foglie di alloro, l’albero sacro del dio, si ammalava di follia e di entusiasmo. Noi, abitanti di questa Ellade di rocce e di mare, respiriamo polvere d’oro e desideri. Pazzia anche, può dirsi, forse, l’essere qui e ora, insieme. Anzi, certamente lo è. Follia. Trattenere il tuo canto è per me così follemente naturale che le stagioni scivolano via come acqua pura nella gola assetata. E lo sai? Quando tu sei con me dimentico perfino quei piccoli tagli sulla pelle segreta. Li dimentico e stanno lì come pietre consumate dal vento. Prima, appena nati, sono brevi fiumi violacei, poi croste rosse simili a bacche di biancospino e ancora, sul finire del tempo, fili di seta sottilissimi, cicatrici sghembe e perse su una qualche mappa in fondo al mare. Tu non mi vedi quando cauta nella notte temendo di lasciare piccoli segni di amore cupo afferro con i denti la punta estrema delle fragili suture, segni vuoti e privati di suoni, e le sfilo da sotto la pelle con dolorosa limpida lentezza.
Ricordi il mito di Odisseo rapito dalla ninfa Calipso? Avvenne ai confini della terra, su un’isola fuori dal tempo. Chi è rapito dalle ninfe, sparisce agli occhi del mondo. Scompare ma diventa un essere sacro. Lei, figlia del Sole e regina di una specie di paradiso terrestre, l’isola di Ogigia. Ulisse rifiutò l'immortalità che ella gli offriva per tornare in patria. Tu intanto sei per me già patria.
Hai trovato le parole? Ti chiedo in un mattino nato per sorridere.
E io qui, nell’attesa tra oriente e occidente, su questo confine accesso di sole, imparo a essere viva, a illuminare cose a dire parole e poesia, a raccontare isole e porti, derive e onde. Eppure solo vorrei, dire il tuo nome tra la gente.


Anna Alemanno  è giornalista, scrittrice intensissima, grande viaggiatrice

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