Esordire per FB, scordare ridire. Di Francesca Marzia Esposito



Più che su qualsiasi altro social, scrivere su FB vuol dire entrare in un’immensa narrazione mosaico, mondi giustapposti, che la comunità costruisce singolarmente in maniera paratattica, vanno a tramare un macroracconto multiforme, enciclopedico, mai finito, mai cominciato. Ogni icona tesse il monologo con sé stessa, oscillando tra privato e pubblico, crea una partitura di parole, un segno visivo, un quadro devozionale, l’immagine (sacra?) di sé e, al tempo stesso, entra in contatto e relazione con le solitudini narrative dell’altro. Chi partecipa alla configurazione del contenitore virtuale di storie, articola e dà non forma a un megapresente soggettivato, dove non c’è inizio sviluppo e chiusura, ma solo continuità, flusso: un tempo che scompare nel suo susseguirsi, che non scorre ma si periodizza azzerando la vettorialità. Il passato presente futuro, ovvero la struttura tradizionale della narrazione, impazzisce esplode si emulsiona in una galassia ipernarrativa informe, l’arco del racconto perde la sua definita curvatura continua e, in assenza di linearità (non soffrendo di tale mancanza), vive di un’ampiezza indefinita, deformata continuamente da una costante irregolarità di orientamento.
La compresenza di realtà diverse, di esistenze paritarie nel loro essere diseguali insolite disparate, frantuma l’egemonia del protagonista, lo decostruisce e lo dismette. Attraverso un approccio di matrice postmoderna, la frammentazione, della fruizione e della creazione, ha in-formato la nostra capacità di saltare da una parte all’altra, di creare connessioni tra i vuoti, di non vederli come buchi o insufficienze ma come presenze piene esse stesse, l’unità consequenziale è diffranta - lo sguardo vede in assenza di totalità significativa, la comprensione completa non è più un problema, la visione si scompone e ricompone di questo suo continuo essere slegata polifonia. Scrivere su FB è partecipare a questo ipermondo che scorre dall’alto verso il basso dello schermo, volto alla sparizione, dove tutti sono protagonisti intercambiabili, non necessari, sostituibili, e dove ogni eikon mantiene il proprio centro forza contenendo in germe la propria creazione e annichilazione (esattamente come accade nella “vita vera” in 3D). Una rete di narratori alla pari dove chi è conoscitore e tecnico delle scritture si trova intravisto svisto nella stringa continua di accadimenti che non accadono, di peripezie scritte da altri contatti, autori lettori e non che democraticamente sono pronti a delineare la propria rappresentazione minuta e a partecipare all’incollamento della singola voce all’insieme di un totale rotto e risaldato da suture a vista. Eventi narrativi spezzettati. Tutto è compresente, tutto sta succedendo e al tempo stesso rimane fisso immobile senza risoluzione.
Chi il narratore lo fa di professione, può intervenire, nel mondo serbatoio senza fondo di FB, attraverso un ventaglio di opzioni che mettono in articolazione per gradi diversi atteggiamenti ai poli opposti che potremmo teoricamente etichettare – estremizzando – in due avatar prototipi: icona muta eclissata monade, e icona attiva compulsiva. Lo scrittore del primo tipo sarà presenza talmente affermata da vivere questo suo successo (concreto?) come presa di coscienza della propria forza, a tal punto da eliminare quasi completamente il suo agire narrativo esplicito: il suo profilo sarà talmente intriso del ruolo pubblico accreditato dal mondo dell’editoria, che egli potrà permettersi di chiudersi in un silenzio ostinato, sostituito a volte da una resoconto per immagini, sottraendo così la dimostrazione della propria autorialità, non concedendosi: esibendo la sua non esibizione, vetrinizzando il suo non essere succube merce di sé stesso, eliminando di proposito l’uso scoperto dello spazio pubblicitario, fornendoci un racconto della sua distanza: da sé dagli altri e dalla sua opera, lasciando che siano i suoi seguaci a far echeggiare il suo nome, egli non ha bisogno di dire altro, non deve dare spiegazioni, egli: È, non deve: FARE. In questo modo si crea un circuito di promozione, di sé e della sua opera, apparentemente più elegante, un po’ come le pubblicità della apple: il marchio stesso di quello che scrive esiste anche in assenza della sua scrittura, non occorre la materia da indicare, tutto rimanda e esiste come mela morsicata in assenza di mela e morso; oltre al fatto che lui gratis non scrive nemmeno una virgola, cosa che accredita ancora di più il tuo essere scrittore di serie A; l’unica cosa che concede è di esistere per sottrazione, esserci in potenza, senza dover marcare l’azione. Il passaggio successivo in questo direzione sarebbe uscire fuori dall’ipermondo, esistere talmente tanto da non aver bisogno di ri-esistere.
All’estremo opposto ci sarà l’avatar emergente, lo scrivente che utilizza FB come cantiere sperimentale, foglio immemore di prove continue, luogo di allenamento e confronto con altri utenti e lettori, e, ovviamente senza demonizzare, pronto spazio di esibizione. L’avatar emergente ha ancora da dover marcare il fatto di esistere, lotta strenuamente per fare affiorare la propria firma nata in superficie. Ora, gli infiniti tentativi di questa emersione sono visibili e al tempo stesso si cancellano incessantemente, dallo schermo e dalla memoria collettiva. Raccontare sé stessi, e il proprio lavoro - o quello che si vorrebbe diventasse tale, con tutte le assurdità che si porta dietro lo sperare di potersi mantenere scrivendo e facendo al tempo stesso letteratura e non solo merce rettangolare buona per gli stand – vuol dire accatastare memoria in un deposito artesiano di narrazioni e guerreggiare contro questa continua scomparsa di merce creata, tentando di restituire vita a un cadavere, come in Weekend con il morto, solo che il morto da portare a spasso siamo noi emersi sommersi. Comparire e sparire è il fallimento che agisce sull’avatar emergente tentato dalla permanenza, che FB non può ontologicamente dare, se non in una distorta concessione di soggiorno del discontinuo, di eterno presente galleggiante della dimenticanza, legata doppiamente all’abbandono senza sosta, narrazione esposte all’eterna lotta tra scrittura e smemorizzazione dello scritto.
La terza opzione, nella marea della narrazione FB è questo mio parlarne (vano), che un tempo si sarebbe detto critica o auto-critica, e che ora, non ha che un posto intermedio e senza dimora, tra scrittura e riflessione.

Francesca Marzia Esposito è l'autrice di 
La forma minima della felicità, Baldini & Castoldi 2015.
Qui una intervista che io feci alla scrittrice poco dopo l'uscita del suo romanzo
Qui, il racconto Ballerine che potete leggere online.
Della Forma Minima su questo blog parleremo ancora.

( il bellissimo disegno della donna un po' giapponese un po' sconfortata è opera sempre di Francesca)



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