Lazzara di Maurizio Pansini






LAZZARA





La morte interrotta


Si diventa loquaci a un certo punto della vita.

Quando s’invecchia e gli sguardi attorno si fanno estranei.
Quando ci si rinchiude in ostinati silenzi che anticipano quel sonno eterno, verso cui tutti siamo diretti.

Si diventa loquaci ma in un modo tutto particolare.
Loquacità che ha bisogno del sequestro dei rari ascoltatori disponibili.

Tra i molti monologatori che mi è capitato di incontrare, uno dei più curiosi aveva una scelta dei tempi così teatrale e perfetta, che tratteneva quasi fisicamente, alla fine, la sua platea di ascoltatori.

Si trattava di un vecchietto, contadino da sempre, che, in un campo di sua proprietà aveva cominciato a costruire, a secco, pietra su pietra, come si usa nel sud, una sorta di Italia in miniatura, ma di proporzioni un po’ più grandi.

Mi spiego meglio. Aveva eretto col tempo, e in sostanza da solo, il Colosseo in miniatura, ma alto circa tre metri, San Pietro, ma soprattutto una Torre di Pisa, già a tre piani quando la visitai, che rischiava di crescere ancora.

Erano tre piani abitabili, quando sarà stata alta almeno una decina di metri. Perfetta, con le scale interne, le colonne, tutto.

Una volta terminato il giro turistico che dedicò a me e alla mia compagna, durante il quale il vecchio si era gongolato di giusto orgoglio per l’opera faticosa e ambiziosa cui si era dedicato negli anni e che ancora continuava da solo, si affrettò a farci entrare in una buia stanzetta dove ci stipò, mettendosi quasi a guardia sulla porta.
Cominciò a raccontare, accompagnando le parole con gesti secchi e bruschi.


All’inizio il racconto è noioso come mi aspettavo.

Lettere e poesie inviate al Papa. Un invito ad ammirare le sue creazioni in pietra. Messaggi che pian piano si trasformano in lamentele sempre più pressanti e addirittura minacciose.
Ci parlò minuziosamente d’innumerevoli messaggi inviati e delle poche lettere cortesi di risposta dal Vaticano. Analizzate per anni in tutti i possibili sviluppi, parola per parola.
Insomma una tipica personalità paranoide che ci aveva incastrato e ci sfruttava come spettatori obbligati e costretti all’ascolto.

Poi... venne fuori l’insolito racconto.

Ero molto affezionato a lei. Lei era tutto per me.
Quando il Signore mi ha portato via la moglie, volevo morire.
Impugnai il fucile, ma i figli mi fermarono.
Allora presi l’accetta, ma anche quella mi tolsero.
Per tre giorni ho pianto, urlato, mi sono strappato i capelli.
Dopo.

Me l’hanno portata via un’altra volta.
Mi sono aggrappato al carro, alla bara, ma non c’è stato niente da fare.
L’hanno interrata come un cane.

Il primo giorno i miei figli non mi hanno lasciato solo un attimo, se non quando mi sono finalmente addormentato.
Passata una settimana, venivano a salutarmi solo la sera.
Dopo un mese ho preso la decisione.

Una notte di luna piena, con la bicicletta sono andato al cimitero.
Il muro era più alto di come lo ricordavo.
Dovetti prendere una scala a casa e tornare lì.

Scavalcato il muro, all’inizio non riuscivo a orizzontarmi.
Poi la trovai.
Scavai piano con la pala che mi ero portato.
Tirare su la bara per poterla aprire fu lo sforzo più terribile che abbia mai fatto. Pensavo di doverci rinunciare, ma, ululando come un lupo, trovai le energie per farlo.
Schiodata, con cautela la cassa, sollevai il coperchio.

Alla luce fredda ma intensa della luna mi apparve.
Era girata su di un lato per metà immersa in un liquido che non seppi distinguere.

Era bellissima.

La mia dolce moglie era sempre mia, nessuno doveva osare togliermela. Aveva ancora gli orecchini, l’occhio immerso nel liquido era chiuso, l’altro aperto, sembrava approvare la mia decisione.

La difficoltà, dopo, non fu di richiudere la cassa, ma di trovare le pietre che raggiungessero il suo peso. Era piccolina, anche se con un bel seno ancora sodo, nonostante tutto quel tempo lì sotto. Trovare pietre per cinquanta chili in un cimitero, e far si che non si notasse nulla, mi portò via molto tempo.

Mi sembrò di aver, con questo sforzo, già quasi finito. Ripristinai alla perfezione la terra e la lapide.
Mi accorsi, una volta sul muretto con mia moglie in braccio, che non ce la facevo più.

Allora, lasciandola lì stesa, scesi a cercare una tavola, un asse, insomma qualcosa che mi servisse a farla scivolare lungo la scala, senza scossoni. Aveva già sofferto troppo per darle quest’ultimo fastidio.

Una volta sulla bicicletta, con mia moglie sulla canna, come capitava qualche volta, e la scala e gli attrezzi sotto braccio, ripercorsi per la quarta volta la strada dal cimitero a casa mia.

Nessuno mi vide.

La sistemai sul mio letto, cambiandole i vestiti tutti bagnati. Le misi la biancheria bella, quella di appena sposati.

Le baciai la bocca.

Fu la notte più bella della mia vita. Avevo interrotto la morte.

Nei giorni successivi il mattino la sistemavo sotto il letto, chiedendole scusa, ma come se stessimo giocando a nascondino.
La notte le parlavo. La chiamavo Lazzara, speranzoso.

Ho parlato come mai prima.

Le ho detto tutto di me, di quanto la amavo, dei figli.

Poi puzzò.

Prima poco, riuscivo, con un profumo da donna, che rubai a mia nuora, a rendere quasi piacevole l’aria di casa.
Un triste giorno però, tornando dai campi, notai due cani che annusavano sospettosi le finestre.

Allora decisi.

La portai di notte, con il vestito da sposa indosso, in questo podere.
Una volta scavata la fossa cominciai a costruirle i monumenti che le renderanno in eterno il senso del mio amore.

Il momento peggiore fu quando, dopo molti anni, nell’aprire la bara si accorsero che mancava mia moglie.

E allora mi hanno messo sotto torchio per una settimana.
Ed io: -Non so nulla! –
Il giudice aveva capito tutto, e quando minacciò di scavare nel mio campo, a costo di buttar giù tutto, anche la Torre di Pisa... a quel punto gli ho detto - Lì sotto! Ve la prendo io!-

Insomma ora non vado nemmeno a trovarla nel cimitero.
La sua casa è qui.
Lo dirò anche al Papa quando verrà, perché deve venire.
E lui lo chiederà. -Fatela stare con il marito, perché lui la ama”.

Era finito lo spettacolo.

Ci alzammo e senza dire nulla, passando vicino alla sua testa china e camminando di lato per passare dalla porticina, ci allontanammo, io e la mia donna, mano nella mano.

Una volta fuori, restammo abbagliati.
Il buio e quel racconto avevano inghiottito la luce per cacciarci in una tenebra ostinata.

Il profilo scuro della Torre, del Colosseo e degli altri monumenti, ci apparve allora come una lugubre cornice alla morte interrotta. Abbracciati stretti stretti, corremmo via da lì.








Commenti

Post più popolari