"L'uomo del morso e del sangue", di Francesca Mazzucato, Readaction (Roma, 2022), pag. 91, euro 13,50.

"L'alveare soffocante senza più vere case ma solo cucce e cunicoli, senza numeri, lettere e indicazioni, la zona dei Senzanome". In un punto marginale di Ginevra, a sicuro da un lungolago che si è salvato.
"Bevo un altro sorso di vino, mi tocco un braccio per sentirmi, sono viva all'esterno, libera di muovermi, il trauma del passato è sempre presente, la paura in agguato con tutto il suo carico di inopportunità (la paura non ha niente di adeguato ed equo, e grezza e selvaggia)". A bordo di quel punto, la presenza della voce narrante diventa una convocazione della storia da raccontare.
"Il sapore di lago è un sapore antico e inesorabile, il sangue gli somiglia". Sotto la coltre del punto si spasima il sangue di lei. Della voce. E della storia. L'uomo che ha dato il morso è il soggetto dentro il soggetto. A è la vocazione alla passione.
"Volevo che fosse la nascita numero due, ma volevo una cosa impossibile, era un ponte bombardato l'espatrio, era una corsa senza una meta visibile, un respiro ansioso". Il punto si dilata. Nelle sue fattezze la protagonista esprime tutti i suoi desideri, i piaceri come gli spostamenti. I piazzamenti nella voluttà, ricorda.
Ma l'ambientazione del romanzo è il mondo, il presente continuo del mondo: "Ho scelto il dubbio del domani ma almeno posso decidere di andare dove voglio, di stare più a lungo nei paesi che nella Grande Pandemia di quasi tre anni fa non parlano quasi più. Io non perdono nessuno, posso far finta di dimenticare e parlare d'altro ma la violenza delle zone colorate, dei razionamenti in nome dei loro cambiamenti di direzione economica sono cose avvenute, sono state violenze su violenza, nulla di tutto questo potrò mai dimenticarlo": alla salute della Immensa Farmaceutica, siglerebbe l'autrice di questo scorretto - per fortuna - "L'uomo del morso e del sangue".
Epperò la superba bellezza del libro è nella letteratura vissuta dalla sua autrice Francesca Mazzucato. Che la ripete per farci capire cosa e che significa vivere con la scrittura nel paesaggio della pelle. "Abitavo in una terra di frontiera e andare via è sempre stato più facile da lì e in un attimo euro fuori, ero via. Le terre di frontiera sanno dilatarsi, aprirsi e chiudersi con facilità, più di altre". Spiega la scrittrice fra la Francia, l'ex Belpaese e il resto del mondo senza confini. All'interno del paesaggio-scrittura. In un viaggio continuo. Abolendo, idealmente, i "lasciapassare e i colori, il lockdown e la loro emergenza".
In un momento imprecisato della narrazione appaiono improvvisi i versi scelti da Cvetaeva. In un'attesa infinita e una felicità sfinita. Fra un quarto di Ginevra e un altro della stessa città di lago di questa bocca di Svizzera che inghiotte però con dolenza e senso del sacro dell'umano. Francesca Mazzucato è la migliore scrittrice fra quelle che osano incantarsi in parole ripetute, confessate e sconfessate. Mazzucato è, per questo, la narratrice dell'eros sentimentale per ecellenza. La più estrema di tutte le penne italiane. Nel solito tempo di passaggio. In una maturazione di continuo fermento, a continua rivoluzione delle vicende di comparse e scomparse, transiti, questioni d'amore, la fermentazione della vita scritta.
"Quando mi siedo nella terrazza gli appunti scorrono come se fossi indemoniata, mi dico che devo testimoniare, che i bambini già non ricordano la vita senza la mascherina a scuola, io devo lasciare una traccia, la mia memoria deve ricordare cosa si è dovuto subire e perché, lo sfregio sui corpi, le paure di tanti. Sono ancora una volta una schedatrice di varianti".
Nelle sezioni in forma di paragrafo definite "L'altra vita", fra le altre cose, Francesca Mazzucato ricorda, e ci sembra il caso di riprendere, come durante gli "anni venti", l'inizio o poco più del periodo di restrizioni derivanti dall'ultima crisi pandemica, che si era ricominciato a parlare di uno stile di vita sostenibile. Ieri, in pratica.
Un ultimo tocco è dovuto, augurando all'esperienza delle nuove e vibranti edizioni Readaction con la sua collana Ipparchia una vita meno emergenziale e/o esperziale di questo termine di comodo, ovvero 'sostenibilità'.
NUNZIO FESTA
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