A pelle scoperta di Francesca Piovesan



Arkadia editore 2019
Collana Sidekar diretta da Ivana e Mariela Peritore


Questa   raccolta di racconti di Francesca Piovesan è  il libro di una  rabdomante. L'autrice esplora sentimenti e incontri apparentemente minimi e casuali che diventano l'inizio (o la fine) di qualcosa di enorme, qualcosa che, come lettore, ti coinvolge in maniera totale, lasciandoti indifeso. Lasciandoti smarrito. devastato, triste, sospeso, davvero  a pelle scoperta e non credevo che il titolo andasse interpretato in maniera così letterale. L'ho letto e riletto, soprattutto di notte, l'ho interrotto per sentire la musica dei personaggi. Una sinfonia diversa in ogni racconto, un'umanità plasmata in modo efficace, spesso feroce, un'attenzione ai dettagli sempre e solo in funzione della narrazione, senza alcun compiacimento. 

"La  maschera d'oro che le copriva mezzo viso l'aveva trovata in uno di quei cestoni bianchi del supermercato dove tutti cercano il tesoro nascosto arrivando al fondo e mescolando la merce in preda al delirio della scoperta e della vittoria sugli altri. L'aveva trovata spostando maschere da gatta con gli occhi allungati all'insù, maschere nere di cavalieri che avrebbero indossato camicie di finta seta nera solo per una notte, maschere da dama veneziana decorate da un pizzo rosso."

Le maschere dei personaggi cadono presto ed è la loro umanità o la loro disumanità  sprecata, stordita e spaesata ad essere parte integrante della narrazione.  Di solito non amo le raccolte di racconti, ho sempre pensato a qualcosa che mi avrebbe deluso inevitabilmente lasciando a metà
la mia emozione, la mia passione per la lettura. Mi è capitato di ricredermi solo leggendo Alice Munro  e adesso con questa piccola sorprendente raccolta di Francesca Piovesan, e credo che l'accostamento abbia un senso, in particolare per quello che riguarda il tempo e la rivelazione, perché è un tempo vasto, incredibile e capace di avvolgere quello di Munro, ed è un tempo vasto quello di Piovesan, in alcuni racconti in particolare, dove arriva, improvvisa e attesissima in un limbo difficile da identificare e da dimenticare, l'amarezza dell'inevitabile fine sospesa che non agevola nel lettore la rassegnazione. Ho trovato accostamenti anche  nella rivelazione dei personaggi, Personaggi che soprattutto vedono, toccano e amano, anche se non sempre dicono, non sempre svelano e non concludono. Un coinvolgimento tutto fisico, nelle storie di A Pelle Scoperta e  nei racconti di Munro che ho più amato. La realtà è il nostro vedere, il nostro scavare, le nostre mani che toccano, il nostro sentire precario e impermanente, quella speranza piccola e dolente, umanissima, che fa male anche a chi legge, di notte o di giorno, che fa sperare di leggere ancora, di non fermarsi lì, dove la scrittrice si ferma, che è sempre troppo presto, ma ci deve essere una spietatezza nella scrittura, non esiste altrimenti. La spietatezza della narrativa di Francesca Piovesan ha una cifra stilistica molto particolare, e se leggerete spesso di "poetica delle piccole cose", o tutte le parole in minore che capita vengano usate quando lo Scrittore è una donna, non credete a nulla, oppure, immaginate il contesto e dentro questo contesto piccolissimi grumi, sfumature, accenni di umanità riconoscibile, che trasporta dentro alla pagina, che fa sentire di aver vissuto in quel modo, in quel luna park o in quella casa, in quella strada  o in quella clinica, di essere davvero i destinatari precisi.


ESTRATTO


Rientrando a casa, quella stessa sera, Edoardo aveva visto le luci del negozio ancora accese, qualcuno stava pulendo: era la donna con i capelli grigi. Aveva attraversato la strada e aveva letto: serata di degustazione, non se n’era accorto prima, mentre era con Andrea, mentre le guardava i denti. Chissà quante altre serate di degustazione c’erano state e chissà lui dov’era stato in tutte quelle occasioni. A dormire studiare fare sesso guardare un film al buio.
La donna si era accorta subito di lui, aveva aperto appena
la porta:
«Siamo chiusi, è arrivato troppo tardi, professore.» Lei sapeva chi era lui, e lui non sapeva nulla di lei. «Abbiamo finito un’ora fa, la sua amica si sarebbe divertita. Ho sentito oggi che le leggeva quelle storie sul tè bianco.»
Edoardo non aveva detto nulla, le aveva guardato i capelli che lui aveva liquidato subito con “sono grigi”, invece ave più sfumature di grigio, sembravano una scala di grigi studiati centimetro per centimetro. Alla fine aveva detto:
«È una mia studentessa, la sto aiutando per un esame. Viene da Parigi.»
La donna con la scala di grigi si era tolta i guanti di lattice bianco che le ricoprivano le mani e le unghie rosa e gli aveva consegnato un sacchettino minuscolo: «Queste sono
due tazze di tè bianco, per lei e la sua studentessa parigina, per i pomeriggi di studio, almeno per un pomeriggio.»
A Edoardo era venuto istintivo chiederle: «Lei sa dove abito?»
«Sì, qui di fronte. La vedo spesso leggere alla finestra.»
Allora lui aveva continuato: «Oggi cosa stava ricopiando?»
«Una ricetta. La ricetta per la torta di mele, lei cucina?»
«Sì, qualcosa, ma le torte no.»




Francesca Mazzucato

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